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IL DECAMERON Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 9 dicembre 1971
 
di Pier Paolo Pasolini, con Franco Citti, Ninetto Davoli, Pier Paolo Pasolini, Angela Luce, Silvana Mangano (Italia, 1971)
 

Pasolini, questa volta, si è lasciato andare. Dimenticate, o perlomeno lasciate in sottofondo, le preoccupazioni simboliche, metafisiche, sociali ed eventualmente politiche, ha dato libero sfogo alla propria facilità di illustrare, alla propria generosità di cantastorie: aiutato, ma anche servendo il Boccaccio.


IL DECAMERON è un brulicare, letterale, di vita, un canto alla gioia di vivere, un abbandono al piacere, alla trivialità; rivalutata ed intesa quasi come viatico ad una concezione esistenziale. Questo processo di rivalutazione, Pasolini lo compie nel film grazie ad una visione estetica di grande cultura e di grande purezza: le immagini del DECAMERON, prese per se stesse, rappresentano un esempio difficilmente eguagliabile di raffinatezza compositiva e formale; perlomeno dal punto di vista dell'estetica classica, di origine "letteraria".


Se in opere precedenti di Pasolini, praticamente in tutte le sue opere, il piacere della scelta degli sfondi era evidente, e la qualità di questa ricerca senza dubbio elevatissima, in DECAMERON esso si fa prioritaria.Trasposto da Firenze a Napoli l'ambiente, proiettato in primo piano il personaggio (tipico in Pasolini) dell'individuo semplice, al limite apparente della ignoranza, che incontra la grazia col favore di una propria apertura alle cose vere e semplici della vita quotidiana, le figure e la composizione del film richiamano subito alla mente quelle del Caravaggio, del Breughel o degli interni di Vermeer.


L'opera si decanta così di tutto quanto di volgare, di populista, di risaputo potrebbe avere questa ambientazione nel fertile, ma anche epidermico mondo del Napoletano. Il gioco delle architetture, la sapienza della luce sui visi e sui corpi dei personaggi, il rigore delle composizioni, il ritmo nella conduzione delle masse, l'uso del colore e della fotografia rimandano il film ad una atmosfera che non può non condurre a nobilitare gli intenti del regesta.


Tuttavia, quello che qui, come in altri film dello scrittore italiano c'impedisce di gridare al capolavoro assoluto è la fonte dell'ispirazione pasoliniana. Facendo un raffronto con una recente trasposizione cinematografica di un capolavoro letterario (quella di Visconti in MORTE A VENEZIA), il lavoro di Pasolini appare come bloccato, cinematograficamente, ad un determinato stadio. Come non avviene con Visconti, nell'opera del quale la sapienza nella composizione formale è al servizio di un discorso preciso, coerente, di una presa di posizione morale e ideologica sui significati del racconto, in Pasolini vi è distacco tra idea e rappresentazione; l'illustrazione, per quanto mirabile, rimane tale. Essa nobilita, grazie al proprio valore culturale, l'aspetto del film, ma non lo "significa".


Quando visconti filma l'atrio dell'Hotel des Bains in MORTE A VENEZIA, dietro alla magnificenza delle immagini c'è una presa di posizione morale su quel mondo, e un discorso universale che trascende le immagini. Quando Pasolini crea meravigliosi interni, dalla luce soffusa, dal rigore architettonico degno dei maestri olandesi o fiamminghi, c'è la cultura ed il senso del bello di un artista. Ma non necessariamente un aggancio con il significato del racconto che lo elevi a significato eterno, non episodico.


   Il film in Internet (Google)

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